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I consulenti del lavoro in Italia sono circa 26.000, hanno 80.000 dipendenti, amministrano 1.200.000 aziende con 8 milioni di addetti; gestiscono personale dipendente per un monte retribuzioni di circa 300 miliardi all’anno, redigono 1.400.000 dichiarazioni dei redditi ed esercitano funzioni di conciliazione o di consulenza di parte o di consulenza tecnica del giudice in oltre 160.000 vertenze di lavoro.
Nella graduatoria dei liberi professionisti sono al terzo posto per base imponibile denunciata al fisco.
L’intervento professionale del consulente del lavoro si colloca generalmente nell’area della consulenza alle imprese di qualsiasi dimensione ed in particolare alla MPMI (micro, piccola e media impresa) con una specializzazione nella gestione dei rapporti di lavoro, in linea con l’evoluzione del sistema produttivo dove la gestione delle risorse umane costituirà il vero fattore strategico di sviluppo.
In uno dei passi più significativi della ricerca svolta dal Censis, che vede nel consulente del lavoro un vero e proprio dirigente esterno alla piccola e media impresa, si legge: “Nel panorama delle professioni emergenti, quella del consulente del lavoro è certamente una figura emblematica di tutto un processo che nella società del terziario avanzato conduce progressivamente ad una accentuata specializzazione funzionale nel campo dei servizi”.
“I consulenti del lavoro rappresentano una sorta di miniera, un valore aggiunto per il mondo del lavoro e per la collettività”: così ebbe ad esprimersi Bianca Maria Fiorillo, Sottosegretario del Ministero del lavoro in occasione del 3° Congresso Nazionale di Categoria.
La professione, inizialmente individuata con legge n° 1815/39, trova una sua prima specifica regolamentazione con la legge n° 1081/64 che istituisce l’albo dei consulenti del lavoro.
La dinamicità, propria della categoria professionale, e la spiccata attitudine all’aggregazione a livello associativo, hanno portato in breve tempo a due importanti tappe istituzionali:
Secondo le norme dettate dalla legge istitutiva dell’ordinamento professionale, il titolo di studio richiesto è la laurea triennale o quinquennale in Giurisprudenza, Economia o Scienze Politiche, ovvero il diploma universitario o la laurea triennale in consulenza del lavoro.
E’ richiesto inoltre un periodo di praticantato di diciotto mesi presso lo studio professionale di un consulente del lavoro.
Dopo il praticantato è necessario superare un esame di Stato, per l’abilitazione allo svolgimento dell’attività professionale, che prevede prove scritte e orali nelle seguenti discipline: diritto del lavoro e legislazione sociale, diritto tributario, diritto privato, pubblico e penale, ragioneria.
Dall’inizio degli anni ’80 la categoria si è attivata per ottenere una formazione mirata a livello universitario: sono nate così le scuole dirette a fini speciali per consulenti del lavoro in vari atenei italiani. Già dall’anno accademico 1989/90 è stata attivata, presso l’Università di Siena una scuola triennale per la formazione dei consulenti del lavoro, che ha rilasciato i primi diplomi al termine dell’anno accademico 1991/1992.
Negli anni successivi analoghi corsi sono stati istituiti anche presso numerosi altri atenei.
Il corso di durata triennale prevede esami obbligatori sia nell’area del diritto (tributario, del lavoro, commerciale, amministrativo, civile, penale, comparato internazionale comunitario) che in quelle della sociologia e dell’economia.